– Va bene la sala operatoria per le 2.00 am?
– Chiamo la rianimazione e il 118 per verificare disponibilità, possibilità di trasporto e orari.
– La rianimazione è a più di 4 ore dal centro trapianti, attivo il volo per ridurre il tempo di ischemia dell’organo.
La concitata telefonata si svolge tra la sala operativa e il chirurgo designato per il trapianto.
Siamo in un openspace dove in modo ordinato trovano posto le scrivanie dell’equipe di sei medici che compongono l’unità di coordinamento dell’attività. Del team fa parte la dottoressa Erika Gianelli, specializzata in malattie infettive. È un lavoro complesso, un puzzle di attività che devono incastrarsi alla perfezione, un trait d’union tra la rianimazione che propone il donatore, il chirurgo che effettua il prelievo dell’organo, il chirurgo che prepara il ricevente e il trasporto dell’organo. La protezione dell’organo da trapiantare e la sicurezza del ricevente sono gli obiettivi principali della Centrale Operativa.
Con la Dott.ssa Erika Gianelli che scopriremo cosa c’è dietro le quinte.
“Quando si entra in Centrale Operativa l’aria è sempre un po’ frizzante, il più delle volte ci si saluta con un cenno della mano o un sorriso mentre si parla al telefono con mezza Italia”, afferma la Granelli. I muri sono tappezzati di fogli con protocolli, procedure operative, numeri di telefono, nomi di chirurghi di ogni specialità, indirizzi di ospedali di tutte le regioni, fissati con simpatiche calamite di ogni forma e colore.
I cinque telefoni della Centrale suonano in continuazione e spesso contemporaneamente.
I potenziali donatori vengono segnalati dai reparti di terapia intensiva di solito verso la seconda parte della mattinata, non appena parte la valutazione del collegio medico per l’accertamento di morte cerebrale che dura 6 ore.
La centrale operativa ha pertanto circa 5-6 ore di tempo per uno degli obiettivi principali: definire il profilo di rischio del potenziale donatore e garantire la sicurezza del ricevente. Sono ore preziose, a volte febbrili, in cui deve essere esclusa la possibilità che il donatore possa trasmettere malattie infettive o neoplasie tramite i propri organi. “Per questo si avvia un colloquio continuo con i colleghi, che hanno in carico il donatore, per ricostruirne la storia clinica, le malattie eventualmente presenti, ricercare quelle sconosciute, il tutto tramite l’esecuzione di esami ematochimici o radiologici. Nell’eventualità di questioni particolarmente complesse ci si avvale di alcuni esperti, la cosiddetta Second Opinion (infettivologica, anatomo-patologica, medico legale, genetica, ematologica) nell’ottica di assicurare la maggior sicurezza ai riceventi del trapianto”, precisa la Granelli.
Contemporaneamente viene contattato il Centro Nazionale Trapianti Operativo (CNTo) per avere indicazioni sulle emergenze in atto in tutta Italia e concordare la lista di allocazione degli organi.
“La Centrale Operativa coordina l’attività di tutti i trapianti che si svolgono in Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche, Liguria, Provincia Autonoma di Trento. Questa macroarea è definita Nord Italian Transplant program = NITp. È stata la prima in Italia ad avviare dei programmi di coordinamento dell’attività trapiantologica, solo successivamente è nato il Centro Nazionale Trapianti, con sede a Roma, con cui collaboriamo giornalmente”.
Come si svolge una telefonata tipo, quale sono le informazioni fondamentali per proseguire nel trapianto?
“Nella telefonata tipo si inizia presentando il donatore: sesso-età-peso-altezza e gruppo sanguigno (informazioni primarie e fondamentali per stabilire la priorità di allocazione). Si prosegue con il piano operativo. In base alle emergenze nazionali attive e al gruppo sanguigno viene definita la lista di allocazione degli organi. È indispensabile avere un gruppo sanguigno compatibile per evitare il rigetto dell’organo e la morte del paziente. Età, peso e altezza sono invece importanti per cuore, fegato e polmoni: il cuore di un bambino non ha la giusta capacità funzionale se trapiantato in un adulto, il polmone di una piccola donna non è abbastanza per un uomo molto alto, il fegato di un adulto non ci sta nel corpo di un bambino.
Ogni organo ha la sua lista di allocazione, la propria graduatoria di emergenze e urgenze in base alle condizioni cliniche dei riceventi.
In quelle poche ore febbrili la Centrale Operativa non solo deve stabilire il profilo di rischio del donatore, ma contattare anche tutti i centri trapianti della propria macroregione NITp per verificare la presenza di riceventi compatibili. Questo significa contattare i clinici e i chirurghi responsabili delle varie specialità d’organo, esporre e proporre il donatore e condividere la compatibilità del possibile ricevente.
Questo è solo un esempio, ma vi assicuro che la prima volta che mi ci sono confrontata ho temuto di non farcela. Spesso è una corsa contro il tempo e nella maggior parte dei giorni ci sono più donatori concomitanti”.
La Centrale Operativa non può fare a meno dell’attività del Laboratorio di Immunologia dei Trapianti, che fa parte della UOC e lavora H24, 7/7gg, verifica in simultanea la compatibilità tra donatore e ricevente, fondamentale per la buona riuscita del trapianto perché accerta con esami molto approfonditi che nel sangue del ricevente non ci siano anticorpi specifici contro il donatore che porterebbero al rigetto dell’organo trapiantato.
Al termine di tutto questo viene stabilita la sala operatoria e inizia il magnifico lavoro dei chirurghi del trapianto. Ove possibile il chirurgo che deve eseguire il trapianto predilige assistere al prelievo dell’organo dal donatore, per essere certo della qualità e del buon funzionamento dello stesso. “Proprio per questo il NITp non va a dormire, è sempre attivo a sostegno dei chirurghi nel caso di ostacoli o difficoltà – precisa la Granelli -. Può succedere infatti che durante il prelievo il chirurgo si accorga di un mal funzionamento d’organo non visibile agli esami precedenti, oppure di una lesione che necessita di biopsia e può cambiare il profilo di rischio del donatore, oppure ancora che il potenziale ricevente possa risultare non compatibile o magari ammalato e non sottoponibile all’intervento.
A quel punto la Centrale Operativa rivede l’idoneità dell’organo da trapiantare oppure ricerca in tutte le liste di attesa un altro ricevente che potrebbe beneficiare del trapianto”.
Dal 2020 si fanno i conti con la riduzione delle prestazioni sanitarie ordinarie a causa dalla pandemia. Qual è stato l’impatto con la vostra attività?
“In questo già complicato puzzle, da più di un anno si è inserito il SARS-CoV-2 che ha portato confusione, incertezza e ha obbligato a rivedere tutta la gestione dei trapianti. L’impatto iniziale è stato violento con un calo in Italia del 39% dell’attività trapiantologica nei primi mesi di pandemia. Non è andata meglio nel resto del mondo (-51% in USA, – 90.6% in Francia, -75.1 in Spagna). La saturazione delle terapie intensive, l’impiego dei sanitari per l’emergenza, sottraendo personale sanitario all’area trapiantologica, il drastico numero di ammalati e di decessi sono le principali cause.
Ma l’attività dei trapianti non si è fermata, ma messa a dura prova durante la lotta al virus e alcuni primati sono stati comunque raggiunti. Nel 2020, a Catania, il primo trapianto di utero su ricevente SARS-CoV-2 positivo, a Milano il primo trapianto di polmone su paziente in gravi condizioni causate dal COVID-19, tra novembre e dicembre è stato stilato un protocollo pilota per il trapianto di polmone in riceventi con esiti da Covid-19, e poi all’inizio del 2021 le prime indicazioni sulla possibilità di utilizzare gli organi da pazienti che avevano avuto l’infezione da SARS-CoV-2, anche sintomatica.
Proprio l’Italia, nazione maggiormente colpita all’inizio dalla pandemia ha saputo mantenere la propria professionalità e incrementare le proprie competenze. Il mio pensiero va a De André ‘..dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior..’. Con la stretta collaborazione di tutti”, conclude Erika Gianelli.
Stefano Rovelli
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Erika Gianelli, Medico infettivologo dopo aver letto un libro sulla lebbra di Raul Follerau. Nel 1999, parte per l’Africa: Zambia, Uganda e infine Guinea Bissau dove partecipa a un progetto sull’interruzione materno-fetale di HIV. Ha poi lavorato 10 anni come internista e come medico di pronto soccorso presso L’Ospedale Luigi Sacco, di Milano. Da marzo 2021 fa parte dell’unità operativa coordinamento trapianti al Policlinico di Milano.