Dietro la sua scrivania un tappeto persiano intero detto Kirman a vasi del ’600, della dinastia dei Safavidi. È lì quasi per caso, lui li cambia spesso, e di ognuno conosce storia, disegni e motivi, linee e colori. Li cataloga per importanza, epoca, dinastia…

Lui è Moshe Tabibnia, il più grande mercante di tappeti. La sua collezione comprende più di 5 mila esemplari e si compone di tappeti, arazzi e tessuti antichi di levatura museale, provenienti da aree geografiche e manifatture diverse. Il tutto accuratamente catalogato e riposto in tre caveau e in un deposito esterno. Moshe Tabibnia è nato da una famiglia ebrea, a Teheran, la città di suo padre. La mamma è di Mashad, città della Persia orientale. “Suppongo che siamo Iraniani da 25 secoli, già dalla deportazione dei babilonesi”, racconta con modi eleganti e con un tono di voce pacato. Nel ’63, quando aveva 6 anni, si è trasferito con la sua famiglia in Israele, lasciando l’Iran sebbene non ci fosse ancora nessun tipo di pressione e di oppressione.

Che ricordi ha del periodo dello Sha di Persia?

Noi avevamo la casa vicino all’ambasciata americana e ricordo feste, suoni, musica quasi tutti i giorni. Rammento questa atmosfera frizzante, c’era veramente abbondanza di tutto. Non sono più tornato. Ho tentato ogni volta che ho ricevuto un invito dal governo iraniano, o in occasioni di conferenze ho chiesto al consolato se potevo andare. Mi hanno sempre consigliato di non farlo, ma spero che in futuro sia possibile.

Che ricordi ha dei tappeti della sua infanzia?

Era normale avere dei tappeti in casa: facevano parte dell’arredamento, non per collezionismo. Si giocava e spesso ci si sedeva sopra.

Ricordo che quando abbiamo lasciato l’Iran abbiamo portato con noi tanti tappeti. Erano considerati un bene di lusso e credo che per l’occasione i miei genitori ne abbiano comprato altri. Probabilmente era come portare dei lingotti d’oro.

Quando nasce la sua passione per i tappeti?

Stranamente la mia passione nasce in Italia. Dopo il servizio militare in Israele, ho girato l’Europa iniziando da Milano e ritornando poi a Milano, dove ho avuto il primo impatto con il commercio dell’antiquariato. All’epoca, lì viveva un mio cugino che aveva un ingrosso un po’particolare. Possedeva delle ville antiche, soprattutto nel Veneto, le arredava e le affittava. Poi organizzava le aste e vendeva il contenuto.

Il battitore di queste aste aveva una sua galleria di antiquariato e mi ha chiesto di entrate in società con lui. Ho accettato ed è così che l’antiquariato mi ha catturato. Dopo i primi anni mi sono specializzato sul tappeto, poi sul tappeto antico. Successivamente ho inserito il tessile, che ancora oggi trattiamo. Tessuti da tutto il mondo: dal Sud America alla Cina.

Quando ha aperto il primo show room a Milano?

Era il 1986 ed era una sorta di ingrosso. Volevo essere libero di girare il mondo per trovare oggetti da acquistare e rivendere, e l’ho fatto per 6 anni. Nel ’92 ho aperto la Galleria, anche perché avevo deciso di non perdere il contatto con tutta la roba meravigliosa che trovavo in giro per il mondo. Era difficile separarsene facilmente, vendendoli all’ingrosso l’unico modo era venderli direttamente ai collezionisti. Perciò adesso so dove si trovano tutti gli oggetti venduti dal ’92 in poi. Prima vendevo ai vari galleristi, ai mercanti, e non avevo più contatto con l’oggetto quando giungeva al cliente finale. Adesso invece sono in grado di ricomprare gli oggetti, o comunque di avere la prelazione se il cliente decide di rivenderli. Mi è successo tante volte di acquistare collezioni che avevo creato e poi venduto.

Dopo quanti anni si può definire antico un tappeto?

Nel mondo, in genere, dopo 100 anni, in Italia dopo 70 anni. Per me deve avere oltre 100 anni, e anche altre caratteristiche. Per esempio, non deve essere una riproduzione di qualcosa di più antico. Ci sono stati dei revival, come per i Safavidi in Iran. Nel 1800 li riproducevano, ma per me non sono tappeti da prendere in considerazione.  

Com’è la sua casa?

Prediligo le linee pulite, si nota anche nelle mie gallerie.

Non mi piacciono troppi oggetti, non sono di quei collezionisti che ammassano tutto in casa. Colleziono molto, ma non ho tutto esposto, preferisco poche cose attorno. Ogni tanto sostituisco. Gli oggetti che seleziono devono rispondere a tantissimi parametri e quando li espongo mi piace dargli “dignità”. Trovo la bellezza e l’autenticità in qualsiasi epoca, quindi a casa custodisco 2000 anni di storia con oggetti vari: archeologici, antichi, contemporanei…

Tappeti tinti con colori naturali o con colori chimici, qual è la differenza?

Anticamente si usavano solo colori naturali, poi nel 1856, hanno inventato il primo colorante chimico analitico. Il colorante vegetale ovviamente accompagna meglio la lana. All’epoca, se i tintori usavano bene il prodotto (tingere e fissare, due passaggi importantissimi) si ottenevano dei colori meravigliosi e molto intensi. Ma non tutti ne erano capaci. Io non ho nulla in contrario verso il colorante chimico, poi oggi ci sono dei coloranti meravigliosi, molto stabili che non danneggiano la lana.

Se ci catapultiamo nel Caucaso del 1870, quasi sicuramente troviamo dei coloranti analitici tipo l’arancione e il viola, difficilissimi da ottenere con i naturali e perciò usati pochissimo. All’epoca chi se lo poteva permettere inseriva con i coloranti analitici questi due colori: per me non è un difetto, ma un pregio considerato il periodo storico. I primi coloranti chimici sbiadivano moltissimo, si vedono bene sul rovescio del tappeto, là dove non prende luce e sulla superficie che invece quasi sempre vira verso il grigio. Questo fa parte di quel periodo. Documento anche questo.

Annodati a mano, a macchina, in lana, in seta. Come riconoscerli?

Credo di essere il mercante che ha comprato e venduto più di tutti, sono passati dalle mie mani tantissimi tappeti. E anche ciò che non è passato fra le mie mani l’ho visto. Ho toccato, ho rischiato, ho comprato ed è in quest’ultimo caso che c’è un maggior interesse a conoscere l’oggetto. Ovviamente ci sono i libri, però non bastano. Ci sono circa 20-25 parametri da considerare e senza l’esperienza una valutazione non si può fare. È chiaro che se ho davanti un tappeto non sono con la check list, tutto avviene in automatico.

Ho letto che a un mercante o a un antiquario basta un’occhiata al rovescio di un tappeto per stabilirne provenienza e valore.  Secondo lei è così?

È una diceria, forse può farlo un mercante che ha una catalogazione di 50 – 100 mila tappeti. Io guardo un tappeto non al rovescio e al 90% dico di cosa si tratta. I tappeti sono creazioni di una persona, di una famiglia, perciò ogni tappeto ha una storia a sé. Per questo le parlavo di 25 parametri, e non ne bastano 3. Più ampia è la base per la catalogazione più esatta è la diagnosi. Studiamo alcuni tappeti per anni per capirne la provenienza, il periodo storico, ecc.

Si dice che più cornici presentano i tappeti più sono pregiati, è vero? E qual è il valore dei nodi?

Dicerie senza senso. Sul tappeto purtroppo si può dire di tutto perché l’interlocutore normalmente ne sa meno. Le cornici fanno parte di un tappeto e quando uno annoda un tappeto può farlo anche solo di cornici… e con questo?

Ovviamente ha importanza l’annodatura, la concentrazione di nodi, ma anche lì va fatta una distinzione. In una manifattura cittadina esigo concentrazioni di nodi, in una produzione in villaggio sarebbe ridicolo pretenderlo.

Quindi bisogna sempre tenere in considerazione l’area geografica, se è una manifattura cittadina, di villaggio, nomade, perché i criteri cambiano completamente.

Quali sono ancora gli elementi che lei considera quando guarda un tappeto o quando lo deve acquistare?

Li giudico per importanza, epoca, dinastia.

La qualità della lana, il colorante che è molto legato alla qualità della lana stessa, (perché se la lana è di buona qualità il colore rende di più), il disegno che deve essere autentico. Quando un disegno è insolito, mai visto e non rispetta la cultura, allora non mi interessa. In questo sono categorico.

Il più antico tappeto annodato a mano è stato rinvenuto nella vallata di Pazyryk in un tumulo del V sec a.C.  e il suo stato di conservazione era buono perché per 25 secoli era rimasto ibernato all’interno di una lastra di ghiaccio. Qual è il tappeto più antico della sua collezione?

Il tappeto intero più antico che abbiamo è del 1420, e abbiamo dei frammenti anche precedenti. Il mercato offre generalmente tappeti dal 1400 in poi. Nei musei orientali si trovano tappeti e frammenti antecedenti a tale data. Dal ’400 al ’600 ci sono stati grandi commerci tra Oriente e Occidente, perciò mi capita di trovarli nelle case occidentali. Ci sono di certo in Oriente tappeti precedenti, ma non è possibile acquistarli.

C’è un segreto per mantenere i tappeti in ottimo stato?

Per mantenere i tappeti in buono stato si consigliano la luce non diretta e l’umidità, che varia per lana e seta.

Il tappeto per lei più originale?

Se per “originale” si intende il prototipo da cui ha origine una scia di tappeti, il più originale è un Karapinar del ’500 che ha generato 4 secoli di tappeti simili, il cui valore come disegno e qualità è poi scemato nel tempo.

Il tappeto con i materiali più pregiati della sua collezione?

I cosiddetti “Polonaise” del periodo Shah Abbas del primo quarto del’600. Tutti in seta con un filato di argento o oro, sono molto pregiati e, all’epoca, venivano usati come doni diplomatici. Se ne trovano nei casati europei, e a Venezia nel tesoro di San Marco ce ne sono tre, se non mi sbaglio arrivati nel 1600 come dono diplomatico.

Sempre preziosi, poi, i tappeti indiani in pashmina.

Qual è il tappeto preferito della sua collezione?

Ogni epoca e dinastia ha prodotto tappeti meravigliosi. Del 1800, del 1500… è veramente difficile scegliere.

Nel 2006 avevo fatto una selezione, ma nel frattempo le cose sono cambiate, si è arricchita la mia collezione.

Qual è stato il primo tappeto che ha acquistato?

Un Isfahan persiano del 1920, di manifattura cittadina con annodatura molto fine, con un disegno molto elaborato e una lana bellissima. Oggi questi tappeti qui non li guardo più.

Cos’è per lei un tappeto?

Un’opera d’arte che ha molto di spirituale. Un’opera d’arte che doveva dare non soltanto un beneficio estetico. I primi tappeti servivano per isolare dal freddo, poi si è capito che attraverso il tappeto si può portare la natura dentro casa, si possono portare i giardini, per esempio. E attraverso il tappeto si è imparato a trasmettere dei messaggi. C’è uno studio nuovo che seguo con interesse in cui si afferma che i tappeti volanti, per le culture antiche, erano dei veicoli: dovevano portare l’anima al mondo successivo, i formati e i disegni dei tappeti riflettono questa loro specifica funzione. Si tessevano per i regnanti tappeti che alla loro morte dovevano portarli via…

Il tappeto, poi, era considerato un suolo sacro, perché salendo su un tappeto ci si isola dal resto del mondo: ecco perché si usano i tappeti per la preghiera. È come se ci si elevasse. Mettendo il tappeto sul pavimento e calpestandolo tutti i giorni gli abbiamo tolto l’importanza che aveva all’origine. Nei tappeti di produzione attuale questa conoscenza non c’è più, perché magari vengono disegnati e creati da organizzazioni occidentali che non hanno quella conoscenza antica, trasmessa da padre in figlio: gli antichi sapevano quale doveva essere il formato e quale disegno mettere, era una tradizione tramandata senza essere scritta.

Quindi i tappeti volanti sono esistiti realmente?

Se consideriamo che il tappeto volando porta l’anima a superare la barriera fra i mondi, il tappeto volante c’è!

Un uomo persiano ripeteva spesso “Non voglio andare in paradiso, perché non c’è notizia che in paradiso ci siano tappeti persiani”, secondo lei ci sono?

L’abbiamo appena detto, se accompagnano l’anima, ci devono essere per forza. (Risponde sorridendo…)

Da Omero ai lirici greci, da Erodoto a Plinio, dai viaggiatori arabi a Marco Polo è tutto un susseguirsi di descrizioni dei tappeti più belli, più grandi e sontuosi di re, di eroi, di imperatori, nei templi e nei palazzi. Secondo lei c’è più storia o magia in un tappeto?

Magia. È vero che io mi occupo della storia, però mi sono accorto che nel tappeto c’è molto più di quello che noi possiamo vedere e ricostruire: davanti a un tappeto se si è sensibili si percepisce una vibrazione, questo non si spiega altrimenti.

Clementina Speranza

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