Giacomo Balla, pittore, scultore e scenografo, è nato a Torino il 18 luglio 1871. In occasione dei 150 anni dalla sua nascita la Galleria d’Arte Moderna di Milano (GAM) dedica un approfondimento a una delle sue opere più note: “Bambina che corre sul balcone”, abitualmente esposta nella Collezione Grassi, ora al centro di uno spazio al primo piano del museo.
La bambina ritratta nel dipinto è una delle sue figlie, la piccola Luce di 8 anni.
Balla inizia a realizzare “Bambina che corre sul balcone” nel 1912 e, con la tecnica divisionista, ricrea una scena quotidiana dando espressione al “dinamismo”, uno dei concetti chiave del movimento futurista.
Le linee verticali e orizzontali dell’inferriata del balcone si sovrappongono alle parti del corpo in movimento fino a fondersi in un’unica visione dinamica. Grazie alla sequenza dei fotogrammi leggermente sfasati e sovrapposti Balla ottiene l’effetto della velocità e del movimento. Per realizzare “Bambina che corre sul balcone”, l’artista aveva approfondito gli esperimenti condotti in fotografia a proposito di questo tema.
I colori sono vivaci e squillanti, eredità del periodo divisionista di Balla e delle sperimentazioni seguite a un viaggio a Düsseldorf, dove aveva potuto osservare alcune opere del fauvismo, corrente che usava il colore in modo puro ed emotivo. Balla sottolinea la vivacità della bambina con la scelta di tinte accese: azzurro, verde, giallo, marrone, che creano una sorta di mosaico in movimento.
Il balcone del quadro in questione è quello della casa romana di Balla, in via Paisiello e, a conferma di questo, sono esposti anche un olio di Armando Spadini che ritrae la strada e una fotografia del pittore con la famiglia proprio sul balcone rappresentato. Il dipinto è un olio su tela, di 125 x 125.
Accanto a “Bambina che corre sul balcone”, a Milano, fino al 13 marzo, sono esposti i disegni, gli schizzi preparativi e le bozze di Giacomo Balla sullo studio del movimento. Composizioni quasi astratte che consentono di capire l’intero processo alla base di quest’opera e ci danno notizie delle ricerche condotte dall’artista in quel periodo.
Clementina Speranza e Andrea Cordio
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Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926) è considerato il padre dell’Impressionismo. Il nome stesso di questa corrente artistica è legato alla sua opera: Impressione. Sole nascente.
La passione per l’arte del pittore si manifesta negli anni dell’adolescenza, in cui si dimostra abilissimo con le caricature che vende per poche monete. Diventa però famoso solo al raggiungimento della maturità, dopo aver conosciuto una povertà nera che lo aveva anche spinto a tentare il suicidio lanciandosi nella Senna. Nonostante le difficoltà, l’artista trova la forza di non arrendersi, permettendo così al mondo di ammirare le sue opere. Dipinti in cui la forma si dissolve nei colori, e la natura acquista forma e dinamismo specchiandosi in un lago ornato di ninfee.
Dal 18 settembre al 22 gennaio, è la città di Milano a rendere omaggio al pittore francese con la mostra: “Monet. Dal Musée Marmottan Monet, Parigi”, curata da Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi, e proposta da Palazzo Reale con Arthemisia
“Organizzare una mostra così importante per la cultura europea e mondiale, in un momento di ripartenza come quello che stiamo vivendo dopo la pandemia, rinnova la vocazione internazionale di Milano e conferma il suo ruolo di centro culturale europeo – afferma Giuseppe Sala, sindaco di Milano –. Il tema centrale è la pratica della pittura en plein air, dalle origini fino alle ultime opere, che permette di approfondire l’evoluzione artistica del pittore”.
Il percorso espositivo formato da 53 dipinti propone l’intera parabola artistica del Maestro impressionista letta attraverso le opere che l’artista stesso considerava fondamentali, private, tanto da custodirle gelosamente nella sua abitazione di Giverny; quadri che lui stesso non ha mai venduto e che raccontano le più grandi emozioni. La mostra si apre introducendo i visitatori in una sala, allestita con mobili originali del periodo napoleonico, che vuole essere un omaggio a Paul Marmottan, il fondatore del Musée Marmottan Monet da cui provengono le opere di Claude Monet esposte a Palazzo Reale.
Suddivisa in 7 sezioni (Le origini del Musée Marmottan Monet: dallo Stile Impero all’Impressionismo, La pittura en plein air, La luce impressionista, Da Londra al giardino: nuove prospettive, Le grandi decorazioni, Monet e l’astrazione e Le rose), l’esposizione introduce alla scoperta di opere chiave dell’Impressionismo e della produzione artistica di Monet sul tema della riflessione della luce e dei suoi mutamenti nell’opera stessa dell’artista, l’alfa e l’omega del suo approccio artistico.
Dando conto dell’intero excursus artistico del pittore, a partire dai primissimi lavori che raccontano del nuovo modo di dipingere en plein air e da opere di piccolo formato, si passa ai paesaggi rurali e urbani di Londra, Parigi, Vétheuil, Pourville e delle sue tante dimore. Ma non solo. Verdeggianti salici piangenti, onirici viali di rose e solitari ponticelli giapponesi; monumentali ninfee, glicini dai colori evanescenti e una natura ritratta in ogni suo più sfuggente attimo. Tra le opere esposte si possono ammirare: Sulla spiaggia di Trouville(1870), Passeggiata ad Argenteuil (1875), Charing Cross (1899‐1901), Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905) fino alle splendide Ninfee (1916-1919).
La mostra è sostenuta anche da Generali Valore Cultura, il programma di Generali Italia per promuovere l’arte e la cultura su tutto il territorio italiano e avvicinare un pubblico vasto e trasversale al mondo dell’arte attraverso l’ingresso agevolato a mostre, spettacoli teatrali, eventi e attività di divulgazione artistico-culturali con lo scopo di creare valore condiviso.
Simone Lucci
Dopo le edizioni di successo di Parigi, Barcellona e Praga, la mostra “THE WORLD OF BANKSY – THE IMMERSIVE EXPERIENCE”, a Milano, riunisce opere di proprietà privata e riproduzioni di murales realizzate da giovani artisti anonimi di tutta Europa. Nel cuore del Teatro Nuovo si rivive l’atmosfera di strada. In una mostra, rigorosamente non autorizzata dall’artista da sempre contrario alla mercificazione dell’arte, si possono ammirare 60 splendide opere in versione stampata e più di 30 murales a grandezza naturale.
Lui è Banksy, l’artista più misterioso di tutti i tempi che ha conquistato il pubblico con ironia, denuncia, politica, intelligenza e protesta.
Ma chi Banksy? Nessuno lo conosce, ma si conosce il suo nome. Probabilmente è il più famoso artista di graffiti del mondo. Artista e writer inglese, attivo dagli anni ’90, ha rapidamente creato il suo mito con uno stile provocatorio e un’incessante ricerca dell’invisibilità. La sua fama non è dovuta solo all’arte, ma anche alla sua identità che, nonostante il successo, continua a rimanere ignota. “Non so perché le persone siano così ansiose di mettere in pubblico i dettagli della loro vita privata. Dimenticano che l’invisibilità è un superpotere” è infatti una sua frase.
Nel 2010 è stato descritto dal Times Magazine come una delle 100 persone più influenti al mondo, insieme a Obama, Steve Jobs e Lady Gaga.
Nel corso degli anni, Banksy ha trasformando le strade di tutto il mondo, da Londra a New York, da Berlino a Timbuctù, da Gaza a Tokyo, in tele giganti.
In mostra al Teatro Nuovo c’è “Rat and champagne” che l’artista ha realizzato a Parigi nel 2018, nel quartiere di Montmartre: lungo una scalinata, un secchiello del ghiaccio e una bottiglia di champagne aperta. Il tappo si trova in alto, in pieno volo, pilotato da un topo (l’animale preferito da Banksy).
C’è anche “Soldiers Painting”, dipinto a Londra nel 2005. L’immagine era apparsa per la prima volta fuori dalle camere del Parlamento durante una protesta contro la guerra guidata da Brian Haw, un attivista inglese che aveva vissuto per un decennio nel campo della pace di Westminster. Il coinvolgimento del Regno Unito nella guerra in Iraq del 2003 era stato portato alla luce e il fatto che milioni di persone protestassero contro l’invasione era stato ignorato. Lo stampino fu confiscato per presunta violazione delle leggi riguardanti le proteste. Si ipotizza che “Soldiers Painting”, oltre a fungere da protesta contro la guerra, denunci la repressione della libertà di parola.
“I più grandi crimini del mondo non sono commessi da persone che infrangono le regole, ma da persone che seguono le regole. Sono le persone che seguono gli ordini che sganciano bombe e massacrano i villaggi”, anche questa frase di Banksy è presente a parete in inglese e in italiano.
C’è “If graffiti changed anything”. Banksy ha creato questo stencil il lunedì di Pasqua nel 2011 su un muro a Fitzrovia, nel centro di Londra. Il colore rosso sangue è usato per la frase e anche per il topo che segna con la sua zampa l’autorità della frase. L’opera, che richiama un vecchio slogan anarchico coniato da Emma Goldman: “Se il voto cambiasse qualcosa, lo renderebbero illegale”, è apparsa in un momento in cui gli artisti di strada venivano arrestati e talvolta imprigionati (per esempio, Invader e Revok a Los Angeles).
A Bristol, negli anni ’80, i graffiti emergono come una forma di espressione praticata principalmente da giovani provenienti dalla classe medio bassa. In quegli anni, John Nation, di un quartiere di Bristol, Barton Hill, visita Amsterdam, rimane affascinato dai vibranti graffiti delle strade cittadine, inizia a documentarsi e condivide il materiale raccolto con il Barton Hill Youth Club, gruppo di artisti di strada appena nato. A Bristol, si comincia così a “taggare” utilizzando vernice spray, e le forze dell’ordine iniziano a reprimere i primi graffitari, tra cui vi è Bansky, considerandoli “delinquenti”.
Come diceva Bansky: “Non c’è niente di più pericoloso di qualcuno che vuole rendere il mondo un posto migliore”.
Clementina Speranza
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“Fin dalla prima giovinezza, sono rimasto catturato dalla Bibbia; mi è sembrato, e ancora mi sembra, che sia la più grande fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora ricerco questo riflesso, nella vita e nell’arte. La Bibbia è come una risonanza della natura, ed è questo il segreto che ho cercato di trasmettere”, afferma il pittore russo Marc Chagall, uno tra i maggiori interpreti dei testi sacri nell’arte contemporanea. L’artista, infatti, ha uno stretto rapporto con la religione ebraica e rilegge in chiave pittorica il messaggio biblico. L’inedita e approfondita narrazione della Bibbia, tra storie e creature fantastiche, è proprio il tema della mostra dedicata all’artista russo che, dal 23 maggio al 29 agosto, sarà ospitata nella cornice della Complesso Monumentale del San Giovanni di Catanzaro. La mostra è prodotta e organizzata dal Comune di Catanzaro e dall’Assessorato alla Cultura della Città di Catanzaro con Arthemisia, azienda per la produzione, organizzazione e allestimento di mostre d’arte a livello nazionale.
A cura di Domenico Piraina, l’esposizione “Chagall. La Bibbia” vede esposte 170 opere grafiche ed è corredata da un ampio apparato didattico sui temi chagalliani e biblici, sull’ebraismo in Calabria e sulle influenze dell’arte ebraica sulla cultura contemporanea. Sono esposte anche le opere dei due celebri artisti contemporanei Max Marra e Antonio Pujia, a completamento di un percorso ricco e inedito. Attraverso le serie della Bibbia, in bianco e nero e a colori, e La storia dell’Esodo, l’esposizione si propone di evidenziare quel “segreto” di consonanza con la natura che l’artista ha voluto trasmettere e illustra come la Bibbia per lui sia soprattutto una storia di uomini, una vicenda di patriarchi e di profeti, di re e di regine, di spose, di pastori: Noè, Abramo, Giacobbe, Isacco, Rebecca, Rachele, Giuseppe, Mosè, Aronne.
I soggetti onirici, surreali, e il tratto semplice e genuino dei dipinti di Chagall lasciano nello spettatore una sensazione di pace e serenità spingendolo a un’immediata empatia con l’autore. Ma la vita dell’artista è complessa.
Marc Chagall (all’anagrafe Moyshe Chagall) nasce in una famiglia ebraica nel quartiere di Vitebsk (Russia) nel 1887, e la sua esistenza è segnata dai grandi eventi storici della prima metà del XX secolo. L’artista, però, acquisisce la sua identità artistica a Parigi, dove viene riconosciuto dai più grandi poeti e artisti surrealisti come uno di loro.
Nel 1914, Chagall rientra in Russia per rivedere Bella, la sua ragazza, il suo grande amore, la sua musa. Sebbene l’intenzione fosse quella di ritornare a Parigi dopo una breve permanenza, lo scoppio della prima guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica in seguito lo costringono a rimanere fino al 1922 nel suo paese dove lavora per la Rivoluzione fondando un’Accademia d’Arte, e dipinge per il Teatro ebraico di Mosca.
Chagall torna poi a Parigi, dove la sua fama di pittore e illustratore ha inizio. Durante la seconda guerra mondiale, si rifugia negli Stati Uniti, dove risiede dal 1941 al 1948 per evitare la persecuzione nazista. Nel 1944, Bella muore inaspettatamente e Chagall smette di dipingere per qualche tempo. Nel 1948 torna in Francia, questa volta a Nizza e a Saint-Paul-de-Vence, dove muore nel 1985.
Una vita artistica e privata quasi centenaria ricca di magia, seduzione, fantasia e opere danzanti.
Simone Lucci
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Emiliano di adozione, creativo, autentico, comunicativo. Lui è Filippo Bragatt, artista famoso per le installazioni e per i grandi ritratti di personaggi famosi. Di recente, un suo bellissimo dipinto nella copertina della rivista Arbiter e “Never Let Your Brain Sit”, l’installazione donata al comune di Santa Margherita Ligure: una panchina rosa, bianca e blu attraversata da un albero. “Quella panchina nasce per dimostrare che la natura si può ribellare: in una panchina su cui ci rilassiamo, leggiamo il giornale, ci baciamo, irrompe un albero. Vuole essere un monito per trovare una convivenza sostenibile”.
Ho conosciuto Bragatt mentre facevo un ordine per i miei negozi in un’azienda di streetwear (Progetto 27) dove Bragatt è consulente creativo. Inizialmente sulle stampe delle t-shirt reinterpretava, e in parte dissacrava, alcuni personaggi storici italiani famosi in tutto il mondo: Dante Alighieri, Garibaldi, Leonardo da Vinci, Giuseppe Verdi. Così i geni diventavano moda e la moda diventava arte.
La sinergia creata tra l’artista e il fashion brand ha fatto sì, che i capi venissero indossati anche da personaggi dello spettacolo.
Il nostro incontro più recente avviene a Firenze, in un bar. Mi saluta con un gran sorriso e inizia con questa frase la nostra intervista, “Grazie Cristiano per essere qua, vedi ogni storia è un cammino in cui l’emozione più bella è negli inizi, iniziamo questo piccolo viaggio insieme in maniera solare”. Mi colpisce la sua frase, e mi colpisce la storia della sua carriera: un percorso, fatto di scelte, incontri, scontri e fortune, partendo dalla provincia di Milano. Bragatt comincia la sua carriera esibendosi in spettacoli comici in locali di provincia, ma capisce presto che preferisce le arti grafiche, un metodo veloce e diretto per arrivare alle persone.
Mentre parliamo poggia sul tavolo la tazza di caffè, sorride e dice “L’arte salva chi la fa”. E mi spiega, che il bello di fare arte è proprio partire dalle sconfitte e risalire la china.
Un suo sogno? Esporre al Moma di New York.
Ma quale opera esporrebbe? “Un’idea che riguarda la capacità di sognare, semplice e densa di significato allo stesso tempo: un cassetto gigante, vicino a un piccolo comodino. Realizzato, ovviamente, in marmo di Carrara!
Sappiamo ancora concederci il tempo per vedere i sogni che stanno nel nostro cassetto, o il cassetto è solo un posto per riporre ciò che non usiamo?”, aggiunge Bragatt.
Basquiat, Keith Haring, Pollock, Schifano, Guido Cagnacci, Gino de Dominicis, Domenico Gnoli, Jeff Koons, Damien Hirst, Julian Schnabel, Francesco Vezzoli, sono le fonti dalle quali Filippo Bragatt trae ispirazione e stimoli per esprimere il suo genio creativo. “Mi incuriosiscono e mi interessano le loro vite, ancor prima delle loro opere. Vite che si incrociano con città, metropoli, epoche e periodi storici completamente diversi”, spiega.
E mi racconta di Mario Schifano, uno dei più importanti artisti italiani della scena nazionale e internazionale degli anni Sessanta. Un Andy Warhol tutto italiano, dal carattere eccentrico e poliedrico, amante della bella vita e innamorato della sua Roma. “Con i soldi della sua prima mostra compra una MG bianca, e la guida senza patente, distruggendola contro un palo poco dopo”, riferisce accennando un sorriso.
Il tempo vola, e quando si avvicina il momento del saluto Bragatt conclude con un messaggio: “L’arte è rappresentazione della vita, allora è proprio da essa che si deve partire”.
Cristiano Gassani
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