Quante volte molti di noi comprando un capo d’abbigliamento, scarpe o accessori, si domandano: “Sto acquistando realmente un prodotto Made in Italy?”
Il gusto, la manifattura, l’artigianalità, la qualità del nostro Paese sono invidiate in tutto il mondo, tanto che i brand italiani sono corteggiati e spesso anche acquisiti da società estere.
Il sentore che qualcosa nel Fashion System stia cambiando e che molte aziende siano adocchiate da realtà estere lo avvertono i buyer andando a comprare per i vari show-room e dialogando con i rappresentanti. E purtroppo in tanti casi è già vero: molte aziende non sono più italiane.
Era il 1967 quando venne fondato il brand Fiorucci, lo stilista Elio che negli anni 70-80 ebbe la sua massima popolarità. Purtroppo non tutto è destinato a durare, infatti, nel 1990, l’azienda Fiorucci venne rilevata dalla Edwin International, società giapponese che possedeva la licenza e la proprietà di diverse aziende, per poi passare alla Società inglese Schaeffer, che finora è a capo del marchio.
Ci sono fondi di investimento, come il francese Kering, un vero e proprio colosso globale del lusso che ha acquistato diverse maison tra cui il brand Gucci, fondato da Guccio Gucci nel 1921 a Firenze. Marchio di fama internazionale e un’icona della Dolce Vita che oggi, sotto la guida dello stilista Alessandro Michele, sta avendo nuovamente un enorme successo. Gli italianissimi Bottega Veneta, Pomellato, Dodo e Brioni sono passati anch’essi al gruppo Kering.
La rinomata e amata Maison Valentino nasce negli anni ’60, quando si afferma la Dolce Vita, e resta italiana fino al 2012, anno in cui il fondo di investimento Mayhoola, con sede in Qatar, acquista l’azienda.
Emilio Pucci, Loro Piana, Fendi e Bulgari sono state acquistate negli anni dal gruppo LMVH, multinazionale francese che conta oltre 70 marchi ed è quotata alla Borsa di Parigi.
Tra i casi che hanno tenuto alta l’attenzione degli italiani, c’è quello di Versace, il cui brand è stato venduto allo stilista americano Michael Kors per 2 miliardi di dollari, anche se Donatella Versace, che ha preso le redini dell’azienda dopo la morte del fratello Gianni nel 1995, ha mantenuto assieme al fratello Santo una piccola quota.
Era il 1991, in gran voga il jeans a vita bassa e Miss Sixty, leader di questa tipologia di pantalone. C’era anche Energie, balzato nell’olimpo per la vestibilità più street del jeans. Un destino comune quello delle due aziende che, insieme al marchio Roberta di Camerino, Murphy Nye e RefrigiWear®, vengono cedute nel 2012 a un fondo di investimento panasiatico.
Le aziende vendute a società estere sono tante, ma in tutto questo notiamo anche qualche azione in contro tendenza: nel 2003 l’azienda francese Moncler è stata acquistata dall’imprenditore italiano Remo Ruffini e, nel 2020 Stone Island entra a far parte di Moncler.
Diesel, dello stilista veneto Renzo Rosso, Dolce & Gabbana, fondato nel 1985 da Domenico Dolce e Stefano Gabbana, sono altri esempi di brand nati e conservati nel nostro Paese. Poi ancora: Moschino, Max Mara, Salvatore Ferragamo, Etro e Missoni. E Prada (fondata a Milano nel 1913 dai fratelli Mario e Martino Prada con il nome Fratelli Prada, e poi negli anni gestita da Miuccia Prada e dal marito Patrizio Bertelli) è diventata una SPA, alla quale appartengono altri brand, tra cui Miu Miu, Church’s, Car Shoe, Fondazione Prada, e mantiene il domicilio in Italia. E poi c’è lui, re Giorgio (Armani), con la sua azienda fondata insieme a Sergio Galeotti nel 1975.
Una cosa è certa: venduti oppure no, i marchi del Made in Italy hanno una marcia in più.
Cristiano Gassani
RIPRODUZIONE RISERVATA
Il 4 dicembre 2019 si ipotizzava l’acquisizione di Moncler da parte di un gruppo internazionale francese che opera nel settore della moda e del lusso.
Il 4 dicembre 2020, esattamente un anno dopo, la società italiana Sportswear Company che detiene il marchio Stone Island diventa di proprietà della Moncler S.p.A. guidata da Remo Ruffini.
I ruoli si sono invertiti, da venditore ad acquirente, e galeotta è stata una convention di Carlo Rivetti, direttore creativo di Stone Island. “Una sera di alcuni mesi fa, mio figlio Romeo partecipa a un convegno tenuto da Rivetti e nota che entrambe le aziende possiedono la stessa cultura, passione, il medesimo rigore gestionale, il rispetto per il brand e per i consumatori – racconta Ruffini, amministratore delegato di Moncler –. Contatto Carlo Rivetti, e da una chiacchierata è nata l’idea dell’acquisizione, o come preferisco definirla io: l’unione di due famiglie”.
L’operazione nasce con lo scopo di sviluppare una nuova visione di lusso che coinvolga anche ragazzi tra i 18 e i 25 anni, rafforzando la capacità giovanile di interpretare i codici culturali delle nuove generazioni, e per migliorare la sinergia tra mondo reale e canali digitali, avvicinandosi così al mercato asiatico.
L’idea è anche figlia dell’emergenza che il mondo sta vivendo.
“Non si può aspettare la ripresa o un cambio di rotta dei mercati, bisogna agire – afferma Remo Ruffini –. Proprio in questi momenti si devono stimolare nuove energie e nuove ispirazioni per progettare il domani. È un bel messaggio per l’Italia”.
Dalle vette quota 8 mila metri alle quotazioni in borsa nel 2013, dalle passerelle per l’alta moda all’acquisizione di Sportwear Comanpy. La storia di Moncler e del piumino si può considerare una vera e propria scalata, iniziata a Monestier de Clermont (da qui l’abbreviazione Moncler), paesino francese poco distante da Grenoble in cui nel 1952 era nata l’azienda che produceva sacchi a pelo, tende foderate e un unico modello di capospalla con logo rosso, bianco e blu: una mantella con cappuccio.
Il primo piumino, realizzato nel 1954, viene testato in quota da una spedizione italiana sul K2. Promosso a pieni voti: le elevate caratteristiche tecniche e l’invenzione della piuma Duvet lo rendono leggero e caldo.
Il piumino pensato per prestazioni sportive scende poi tra le strade delle città, si reinventa di continuo, si adatta ai colori e alle forme del periodo storico.
Dalle divise della scuola francese di sci che invadono le piste e le Olimpiadi del 1968, alla moda simbolo di status dei “paninari” degli anni ’80, con colori scintillanti, nylon lucidi e forme oversize, fino all’entrata in scena di Remo Ruffini che rileva il brand nel 2003 e posiziona Moncler nel mondo del lusso. Nascono allora: Gamme Rouge, Moncler Gamme Bleu e Grenoble, capi ricercati che si adattano alla città e alle vette innevate vestendo un pubblico sempre più selezionato.
Sono stati recentemente creati capispalla d’alta moda con design all’avanguardia. La collaborazione con la Maison Valentino costituisce un chiaro esempio di sinergia tra sperimentazione e Haute Couture. Pierpaolo Piccioli, direttore creativo di Valentino, ha presentato i nuovi piumini Moncler Pierpaolo Piccioli a Parigi, al Musée Picasso, durante il primo giorno della PFW Haute Couture 2020.
Simone Lucci
RIPRODUZIONE RISERVATA
Stone Island (nome che deriva da due vocaboli inglesi ricorrenti nei romanzi di Joseph Conrad) nasce nel 1982 dall’idea di Massimo Osti, che aveva studiato vari tipi di tessuti e si era concentrato su un telone bifacciale, rosso da un lato e blu dall’altro, utilizzato per produrre le coperture dei camion. Il tessuto viene chiamato Tela Stella ed è sviluppato in una collezione di sette capospalla declinati in sei varianti bicolori. Al lancio della collezione, in soli 10 giorni vengono esauriti tutti i capispalla disponibili nei negozi, tanto è il successo del brand.
Nel 1983, Massimo Osti decide di dedicarsi esclusivamente al lato creativo dell’azienda e il Gruppo Finanziario Tessile di Torino sposa il progetto Stone Island.
L’azienda continua a evolversi con nuove sperimentazioni e innovazioni nel campo dei tessuti e dei materiali, uno su tutti quello dell’Ice Jacket, tessuto sensibile che cambia colore al cambiare della temperatura. Nel 1993 Carlo Rivetti subentra in azienda, chiamandola Sportswear Company. In quel periodo Osti lascia la C.P. Company per passare esclusivamente al marchio Stone Island fino al 1995.
Dopo la collaborazione con Paul Harvey che ha curato 24 collezioni, Rivetti, da presidente e a.d. del gruppo, decide di gestire sul piano creativo il marchio con più persone da tutto il mondo, creando una vera e propria squadra (2008).
Nei primi mesi del 2010, l’azienda Sportswear Company vende C.P. Company alla FGF di Enzo Fusco.
Nel 2011 Stone Island, ormai senza CP Company, aumenta il proprio fatturato del 4%, e nel luglio 2017 il fondo sovrano del Governo di Singapore, Temasek, entra in Stone Island rilevando il 30%.